Vorrei essere considerato di più, ecco cosa. Non è tanto. Non essere trascurato, ma pensato, desiderato; vorrei sentire, sentire che mi hai, che hai bisogno di me, e che vuoi sapere. Non lasciarmi fermo, muovimi, fammi oscillare - sai che non amo la realtà. Ma mi lasci così immobile, a volte; mentre tu passi avanti, corri, e io non riesco a prenderti, a trattenerti, a sentire il calore del tuo braccio, i tuoi occhi nei miei, e quella considerazione, che rende la luce più tenue - sì, più sopportabile - no, non ci riesco. Non voglio i residui. E le nuvole grigie, perché non le sposti? Ti vedo da lontano, ma non ti avvicini. Sai che amo appoggiare le mie labbra sulla tua pelle, sai che amo quel momento in cui ci perdiamo nei nostri sensi, ma perché al di là non ti vedo più? Perché non porti quei momenti in un'altra dimensione, sì, quella in cui possiamo ammirarli sempre, come dilatarli, farne poesia, quella poesia che ci tessiamo dentro, addosso anche, e con cui andiamo in giro, due cavalieri armati, lucenti, come se nulla ci potesse scalfire, perché quella poesia lega i nostri cuori, quella poesia che è la tua voce che mi parla, che mi cerca, che mi desidera. Io voglio quella poesia. Non voglio i residui. Ma sei così perso nelle tue agende, e quelle cene che odio, quei pensieri che non ti piacciono, eppure rimani, sì, rimani lì, e io qui, ad aspettare quella poesia.
Sposta quelle nuvole grigie, ti prego.
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