Era una di quelle pioggerelle primaverili leggere, gentili, che cadono lievi, quasi avessero timore a toccare la terra e a inumidirla del loro vivere. Nonostante le nubi, il cielo era luminoso, pacato, poco imponente. L'aria era fresca ma rassicurante, l'acqua lavava via il malumore dalle foglie e dai rami.
Sfioravo, con le mie dita, i confini del suo viso, pungendomi con i peli che crescevano sotto il mento. Lambivo, con i miei polpastrelli, la linea morbida delle sue labbra, arrivando a inarcarmi sulla punta del naso e ricadere sulla gentilezza del marrone dei suoi occhi. I capelli crespi accoglievano il movimento delle dita, conducendole e bagnandole di nero profumo, mentre sentivo le nostre gambe muoversi e unirsi in un legame di concretezza e sensualità. I nostri respiri stanchi e regolari si strofinavano l'un l'altro creando un oceano di dispersione, di ammaliamento, di sguardi lascivi che, dolci, baciavano quel momento di umido silenzio.
«Domani insieme?»
«Domani non c'è. Oggi è infinito.»
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